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    “Augustus” (Edizioni De Cultura): intervista a Ciro Gravier
    31 Marzo 2021
    La Fondazione De Cultura fra libri, eventi, rassegne e premi: parola a Guido Ciarla
    2 Aprile 2021
    Published by Ufficio Stampa on 1 Aprile 2021
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    Un lavoro di ricerca e documentazione che ha destato talmente tanta attenzione tra il pubblico da vedere esaurite le copie della prima ristampa in pochissimo tempo, nonostante l’impossibilità di fare delle presentazioni. “I nostri giorni non sono lontani”, edita da De Cultura, con la prefazione di Anna Foa, è un’opera di Antonietta Lucchetti che insieme all’Associazione Memoria ‘900 ha riannodato i fili di storie di vita e di speranza. Il titolo del libro è tratto da una delle più toccanti lettere scritte da un soldato veliterno.

    Antonietta Lucchetti, dietro ad un volume di 180 pagine con tanti documenti e numerose ricostruzioni c’è una ricerca certosina. In che modo è stata condotta e organizzata?

    È stato un lavoro di circa due anni. Ho studiato le lettere presenti nell’Archivio Storico Comunale di Velletri, trascrivendole e catalogandole per luoghi di provenienza. Poi, insieme all’Associazione Memoria ‘900 si è pensato di farne una pubblicazione grazie anche all’intervento della Banca Popolare del Lazio. È stato quindi fatto un lavoro non semplice di selezione delle lettere che potevano essere più rappresentative.

    Lei ha lavorato, oltre che sul documento, sulle emozioni: chi scriveva queste missive cercava di trasmettere oltre alle notizie lo stato d’animo provato. Che effetto fa?

    Non è affatto semplice descrivere le emozioni davanti a queste lettere. Sono tutte scritte in un momento particolare della storia del nostro Paese. Immagino questi giovani uomini strappati alle loro famiglie dalla guerra, che dopo anni di combattimento si trovano in luoghi di prigionia lontani e anche la lingua che ascoltano è sconosciuta. In tutto questo, il loro unico contatto con la casa e con le radici è la lettera, che spesso impiega mesi e mesi per arrivare a destinazione.

    Qualcuno l’ha definita “sarta della storia”. Che lavoro fa una sarta della storia?

    Ricuce i lembi delle storie strappate. Strappate dalla guerra, dal tempo, dalla dimenticanza. La sarta ricuce il passato, toglie la polvere che le ha ricoperte, cerca di trasmettere queste storie riannodando i fili e trasmettendone la memoria.

    Rocco Della Corte

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